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Dato alle fiamme sulla panchina a Frattamaggiore, ergastolo per il suo assassino

È accusato di aver dato alle fiamme il 39enne Nicola Liguori: arriva la condanna all’ergastolo per Pasquale Pezzella. Vittima e imputato si conoscevano bene perché cresciuti nello stesso quartiere di Frattamaggiore.

Si è chiuso oggi, dinanzi ai giudici della Corte d’Assise di Napoli, il processo al 36enne accusato dell’omicidio avvenuto a Frattamaggiore. La sentenza, emessa nel tardo pomeriggio di oggi dopo una lunga seduta in camera di consiglio, ha stabilito il “fine pena mai” per Pezzella. I difensori dell’imputato, Fernando Maria Pellino e Marcella Monaco, hanno già preannunciato il ricorso in appello, chiudendo solo temporaneamente questa tragica vicenda. Nonostante la condanna all’ergastolo, rimane irrisolto il mistero del movente, ipotizzato ma non dimostrato dall’accusa.

La drammatica storia risale alla notte tra il 30 giugno e il 1 luglio 2022, quando Nicola Liguori fu bruciato vivo mentre stava effettuando una videochiamata con la fidanzata su una panchina di Viale Raffaello a Frattamaggiore, nei pressi dell’abitazione di Pasquale Pezzella. La ragazza fornì un identikit dell’assassino, che non coincideva del tutto con quello dell’imputato e successivamente in un confronto all’americana, ma Pezzella ha sempre sostenuto di essere innocente.

Fu lo stesso Liguori ad accusare il suo aggressore

Ad accusare il 36enne fu proprio la vittima che, durante il trasporto in ospedale, disse il nome Pasquale al fratello, mentre durante l’incidente probatorio in collegamento dall’ospedale sussurrò il nome di Pezzella. Liguori, cosparso di benzina, subì ustioni di terzo e quarto grado su circa il cinquanta per cento del corpo. Morì dopo circa 10 mesi di agonia.

Pezzella fu arrestato due giorni dopo il crimine dagli agenti del commissariato di Frattamaggiore. Durante il processo, il PM Raffaele Della Valle della Procura di Napoli Nord ha sostenuto che la morte di Liguori fosse direttamente collegata alle gravi ferite riportate, come confermato dai risultati dell’autopsia.

Per la difesa di Pezzella la morte di Nicola Liguori fu un caso di malasanità

La difesa di Pezzella ha presentato un colpo di scena durante il processo con la testimonianza del primario del reparto Grandi Ustionati del Policlinico di Bari, dove Liguori era stato ricoverato. Il medico ha dichiarato che il paziente era praticamente guarito dalle ustioni e necessitava solo di cure sulle parti del corpo dove era stata prelevata la pelle per gli innesti. Inoltre, il responsabile della struttura per le lunghe degenze di Telese ha affermato che Liguori poteva tornare a casa per continuare le terapie.

Secondo la difesa, le condizioni di Liguori si sarebbero aggravate nei successivi ricoveri presso un Hospice di Napoli e l’ospedale Cardarelli. Durante quest’ultimo periodo, la vittima avrebbe contratto l’AIDS, compromettendo il sistema immunitario e portandolo alla morte.

In pratica per la difesa di Pezzella, ormai guarito dalle ustioni, Liguori sarebbe una vittima di malasanità.

I giudici hanno accolto la tesi dell’accusa

Nonostante queste argomentazioni, i giudici della terza sezione della Corte di Assise di Napoli hanno accolto la tesi dell’accusa, stabilendo un nesso causale tra le ustioni di terzo e quarto grado e la morte di Liguori, respingendo le accuse di malasanità. Ora accusa e difesa sono in attesa delle motivazioni della sentenza, che saranno depositate nei prossimi novanta giorni.

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