Il presepe: le origini di una tradizione

Da poco più di otto secoli, la rappresentazione della Natività di Gesù conquista l’immaginario globale

Rinnovare ogni anno una tradizione diventata rapidamente la più amata e celebrata dal mondo cristiano significa rinnovare la magia del Natale.

Una tradizione perpetuata in tutta Italia, e, in particolare, nel cuore di Napoli, dove gli artigiani presepari ‒ affermati e apprezzati in tutto il mondo ‒ trasformando materiali semplici in opere d’arte, riproducono ai più alti livelli e di generazione in generazione la maestria della scuola napoletana. Una scuola a cui è riduttivo dedicare solo poche righe, ma che merita, qui, una menzione per essere custode di tecniche di esecuzione evolutesi nel tempo, dalle sculture seicentesche in legno alte poco più di un metro e fisse, a quelle settecentesche più piccole, plasmate nell’argilla e realizzate con canapa e fil di ferro per dare alle figure le pose e le collocazioni desiderate.

Il presepe allieta innegabilmente le festività di fine anno, e contribuisce più di ogni altro elemento a creare quell’atmosfera carica di attesa e di emozione che solo il Natale sa regalare.

Un’emozione sollecitata anche dalla curiosità di conoscere, per chi ancora la ignora, la vera storia della sua creazione e il luogo da cui una tradizione tanto amata ha avuto origine. Ma anche di svelare o rievocare l’identità di chi, volendo realizzare con tutte le sue forze un grande desiderio, ne è stato l’inventore.

Bisogna risalire al primo decennio del Duecento per veder arrivare un giovane san Francesco, insieme ai primi compagni della sua vicenda religiosa, nella valle reatina, tra le montagne dell’Appennino laziale, in quella che è stata una delle prime tappe del viaggio di evangelizzazione che, dopo averlo visto letteralmente spogliarsi dei suoi abiti e rinunciare a ogni bene materiale nella piazza di Assisi, lo porterà, dalla natìa Umbria, anche in Siria e in Egitto.

Lo scenario è quello della grande pianura alluvionale dell’Italia Centrale, circondata da una corona di rilievi montuosi al centro della quale si trova la città di Rieti che dà il nome alla valle. Un luogo che, per la sua bellezza incontaminata e l’umiltà delle povere popolazioni che vi abitavano, impressiona profondamente Francesco, che lo sceglie per fondarvi quattro santuari, diventate pietre miliari della storia francescana e della Chiesa: quello di Poggio Bustone, di Santa Maria della Foresta, di Greccio e di Fonte Colombo. È da questo momento che la conca di Rieti prende il nome di Valle Santa reatina e diventa il suo amato luogo di ritiro.

Ed è qui che, nel 1223, il santo, ormai stanco e provato dalla durezza di una vita di povertà e di privazioni che si è imposto, sentendo di non avere più molto tempo davanti a sé, si affretta a portare a compimento l’opera di evangelizzazione cominciata molti anni prima, riuscendo a veder realizzati, grazie all’approvazione del Papa, due dei suoi sogni più grandi: quello di veder incardinare nella Chiesa romana l’Ordine religioso da lui fondato, disciplinato dalla Regola di osservanza del Vangelo e improntato a una vita di obbedienza e castità; e quello di poter rivivere la magia della Natività, sperimentando fisicamente le sensazioni e le emozioni provate dai pastori che accorsero nella grotta di Betlemme per celebrare la nascita di Gesù. Francesco sceglie Greccio, il più estremo e arroccato dei santuari da lui fondati nella valle reatina, per dar vita al primo presepe vivente della Valle Santa.

Malgrado il prevalere degli aspetti più consumistici e dei ritmi assai meno contemplativi dei tempi moderni rispetto alla morigeratezza dell’approccio francescano, la testimonianza di fede semplice e umile lasciata da Francesco prende ancora oggi forma nei presepi casalinghi, per i quali si continuano ad allestire le scenografie e costruire i personaggi, con passione ancora autentica e amore sincero per l’intuizione del santo di Assisi.

Viviana Rossi

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