Ho iniziato facendo lo scaricatore di porto, lì si faceva la vera sceneggiata”. Così raccontava Mario Merola in una delle interviste televisive in cui ripercorreva i suoi trascorsi da interprete e protagonista di un genere musicale-teatrale in auge a Napoli tra gli anni Venti e Quaranta del Novecento, rivalutato grazie al suo talento e alla sua personalità carismatica.

Un documentario presentato lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma – “Il Re di Napoli. Storia e leggenda di Mario Merola” ‒ viene proposto da Rai 3, il 4 febbraio, in prima serata, e racconta l’uomo e l’artista diventato uno dei simboli della città di Napoli, ambasciatore della canzone e della cultura partenopea nel mondo.

Un artista nato come cantante melodico, con una grande estensione vocale, celebrato come un re non solo nella sua città, ma anche all’estero, soprattutto tra gli emigrati italiani in America. Alcuni di loro potevano aver dimenticato, o non conoscere la lingua italiana, ma conoscevano lui e le sue canzoni, grazie alle quali tornavano idealmente a casa, in quell’Italia che avevano lasciato o che non avevano mai visto. Ai loro occhi, Merola appariva come il compaesano che, dal quartiere Sant’Anna alle Paludi, con un’istruzione interrotta alla terza elementare e i suoi inizi come portuale, era diventato famoso vincendo il primo premio ad un concorso per voci nuove e costruendo la sua carriera grazie al revival della sceneggiata.

“Mario Merola”, ha affermato il regista del documentario, Massimo Ferrari, “è stato un grande artista e un grande personaggio, tale che per raccontarlo bisogna innanzitutto entrare nel suo mondo, in ciò che ha rappresentato e rappresenta per un intero popolo, che ha il suo cuore a Napoli ma che è disseminato in molte parti del mondo, dagli Stati Uniti all’Australia. È il re della sceneggiata, colui che ha fatto rinascere un genere nato nei primi anni del Novecento e lo ha portato a vette di popolarità impensabili”.

Il genere riportato al successo da Merola nasce ispirandosi ai testi del poeta e scrittore partenopeo Libero Bovio (tra gli altri, “Zappatore” e “Lacrime napulitane”), convinto che una canzone dovesse avere una trama come un romanzo in quanto espressione dei sentimenti dell’autore e della sua capacità di immedesimarsi nelle storie e nelle passioni dei suoi personaggi. “La sceneggiata è una canzone”, diceva Merola, “e da questa canzone si prende il soggetto e si fa la sceneggiata. Da soli non si può fare: ci sono isso, essa e ’o malamente, cioè il primo attore, la primadonna e il cattivo”. Repertori, quelli di Bovio e di Salvatore Di Giacomo (tra gli artefici dell’epoca d’oro della canzone napoletana) che sembravano scritti per Merola, capace di catturare l’attenzione del pubblico con la sua presenza scenica, facendolo immedesimare nei personaggi e nelle storie delle canzoni, e suscitando emozioni e commozione.

Nella sceneggiata, Mario Merola “era isso, cioè un uomo forte e buono, il personaggio positivo che ha in sé il tratto della violenza, ma è il normotipo di chi subisce un torto”, ha detto lo scrittore Maurizio De Giovanni. “La prevedibilità del genere, che si conclude sempre con la vittoria del buono e la sconfitta del cattivo, rende la sceneggiata comunque coinvolgente, capace di far emozionare chi vuole emozionarsi”.

I successi teatrali di Merola gli hanno aperto le porte del mondo del cinema negli anni ’70 e ’80, quando le sue sceneggiate più celebri sono diventate film, con esiti positivi anche al botteghino.

Mario Merola ha raccontato Napoli ai napoletani e non solo, presentandosi sulla scena come nella vita senza maschera, con le sue doti interpretative, le sue passioni (la famiglia, il cibo e il gioco), e la sua arte popolare.

Viviana Rossi

Donazione sostieni il Gazzettino Vesuviano