A un anno dall’omicidio dell’ingegnere Salvatore Coppola, avvenuto il 12 marzo in corso Protopisani a San Giovanni a Teduccio, arriva la confessione di Gennaro Petrucci, imprenditore e mandante del delitto. Durante il processo, Petrucci ha ammesso le proprie responsabilità, indicando l’esecutore materiale e un terzo uomo che avrebbe finanziato l’agguato.
“So che devo morire in carcere, il primo mandante di questo omicidio sono io. Perché nutrivo rancore verso l’ingegnere Salvatore Coppola, per come si era posto nei confronti di mia moglie Silvana Fucito. Io non volevo ucciderlo, ma non mi potevo più tirare indietro, ma voglio chiedere scusa alla famiglia”, ha dichiarato in aula rispondendo alle domande del pubblico ministero Sergio Raimondi.
Il “servizio” fu fatto per 7mila euro e quattro bottiglie di vino
Secondo la ricostruzione degli investigatori, il colpo mortale alla nuca fu esploso da Mario De Simone, indicato dallo stesso Petrucci come killer. “La sera dell’omicidio, Mario De Simone mi disse che aveva fatto ‘il servizio’. Gli diedi 500 euro e quattro bottiglie di vino. In totale gli ho dato 7mila euro per l’omicidio”.
Ma dietro l’agguato ci sarebbe anche un altro imprenditore, il presunto finanziatore: “Se mi sono convinto di uccidere l’ingegnere e di non limitarmi a una gambizzazione, è solo perché mi aveva convinto un altro interlocutore disposto a pagare ventimila euro da dare al killer: diecimila euro prima, come acconto, diecimila euro dopo il servizio: ventimila euro e ti passa la paura…”.
L’odio per Coppola e la villa all’asta
Secondo le indagini della Squadra Mobile di Napoli e del commissariato San Giovanni-Barra, il movente dell’omicidio sarebbe legato alla villa di via De Lauzieres, residenza di Petrucci e di sua moglie Silvana Fucito, imprenditrice simbolo dell’antiracket.
La lussuosa dimora, valutata quattro milioni di euro, fu messa all’asta per un milione e duecentomila euro, causando in Petrucci un profondo risentimento. “Maturai la volontà di uccidere Coppola per l’atteggiamento assunto da Coppola nel corso di un sopralluogo fatto da Coppola e da un suo socio, Salvatore Abbate, svolto a casa mia”.
L’astio tra l’ingegnere e i coniugi Petrucci-Fucito: “Coppola voleva vendicarsi”
Petrucci racconta che Coppola, durante quella visita, avrebbe fatto intendere un desiderio di vendetta. “Quando Coppola si presentò a casa mia, mi disse che voleva togliersi un sassolino dalla scarpa. All’inizio non capii. Poi capii che Coppola voleva vendicarsi per le accuse messe a verbale anni prima da parte di mia moglie Silvana Fucito. Anni fa Coppola era stato riconosciuto come un possibile esponente del clan Mazzarella, a quel tempo interessato a zittire mia moglie, dopo che avevano subito l’incendio dei nostri magazzini“.
Durante quel sopralluogo, l’ingegnere avrebbe anche pronunciato una frase allusiva rivolgendosi alla moglie di Petrucci: “Montagna non si mette contro montagna“. Con lui c’era Salvatore Abbate, a sua volta coinvolto nell’inchiesta sulle tangenti legate ai depuratori di fanghi industriali sotto la gestione della ex Sma Campania.
Tre ore di interrogatorio davanti alla Corte d’Assise, presieduta dalla giudice Giovanna Napoletano, hanno permesso di delineare un clima di astio culminato nel delitto. Petrucci ha confessato di aver aderito alla richiesta di un terzo soggetto, intenzionato a eliminare Coppola per un affare saltato proprio sulla vendita della villa.