Estorsione al Savoia: Scognamiglio passa ai domiciliari in attesa del processo

Ciro Scognamiglio, noto nell’ambiente ultras come “Bannera”, sconterà agli arresti domiciliari l’attesa del processo che lo vede imputato per gravi reati di usura ed estorsione. Il capo ultras del Savoia Calcio, arrestato lo scorso ottobre dai carabinieri di Torre Annunziata, era finito in manette insieme a Felice Savino, detto “Peracotta”, cognato di Valentino Gionta, storico boss dell’omonimo clan camorristico. Secondo l’accusa, i due avrebbero imposto un pagamento alla dirigenza dell’ex società biancoscudata, minacciando ritorsioni nel caso di mancato versamento.

Dopo mesi di custodia cautelare, il tribunale ha deciso di concedere a Scognamiglio la detenzione domiciliare, una misura che, seppur meno restrittiva rispetto alla prigione, non chiude il caso giudiziario. L’indagine ha portato alla luce un sistema di pressioni e intimidazioni che, secondo gli investigatori, sarebbe stato attivo da tempo nel mondo del calcio minore.

Le richieste estorsive alla dirigenza del Savoia

Gli atti dell’indagine evidenziano come Scognamiglio e Savino avrebbero chiesto 3.000 euro ai vertici del Savoia per garantire la tranquillità della squadra e la regolare prosecuzione delle attività sportive. Una richiesta che non rappresenterebbe un caso isolato, ma che rientrerebbe in una più ampia strategia di controllo camorristico sul club oplontino.

L’obiettivo, secondo gli inquirenti, era quello di mantenere l’influenza del clan Gionta sulla società calcistica, assicurandosi che nessuna decisione rilevante potesse essere presa senza il loro assenso. Il fenomeno delle infiltrazioni criminali nelle squadre di calcio non è nuovo, ma l’inchiesta ha portato ulteriori conferme su come la criminalità organizzata utilizzi il tifo organizzato come strumento per affermare il proprio potere.

L’incontro con il direttore sportivo e il linguaggio in codice

Un episodio chiave dell’indagine risale all’agosto 2022, quando Ciro Scognamiglio avrebbe ricevuto nella sua abitazione Carmine Palumbo, all’epoca direttore sportivo del Savoia. Durante quell’incontro, Scognamiglio avrebbe consigliato al dirigente di “tenersi buono” Savino, sottintendendo che il pagamento della somma richiesta fosse una garanzia per evitare problemi. L’estorsione, dunque, sarebbe stata mascherata da un consiglio amichevole, una modalità ricorrente nelle dinamiche camorristiche.

Le indagini hanno inoltre rivelato l’uso di un linguaggio in codice per comunicare le richieste di denaro. Le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno registrato espressioni come “due-tre mele annurche”, un riferimento velato alle somme da versare per non destare sospetti. Questo tipo di strategia, tipico delle organizzazioni mafiose, permette di mantenere un’apparente distanza dalle attività illecite, pur continuando a esercitare un forte controllo sulla vittima.

Camorra e calcio: un binomio ancora radicato

L’inchiesta si inserisce in un quadro più ampio di infiltrazioni della camorra nel calcio minore, un fenomeno che negli anni ha visto diverse società sportive diventare strumenti nelle mani della criminalità organizzata. I clan utilizzano le squadre locali non solo per riciclare denaro, ma anche per consolidare il proprio potere sul territorio, sfruttando il legame tra tifo e identità cittadina.

Nel caso specifico del Savoia, la pressione esercitata sugli ex dirigenti avrebbe avuto anche un secondo fine: garantire un elevato numero di abbonamenti tra i tifosi, un elemento cruciale per la stabilità economica della società. Il controllo della curva, infatti, è spesso un elemento determinante per condizionare la gestione di un club, come dimostrato in altre inchieste su rapporti tra ultras e criminalità organizzata.

Il processo come punto di svolta

L’arresto e la successiva concessione degli arresti domiciliari per Scognamiglio non segnano la fine della vicenda, ma rappresentano solo una tappa di un’indagine che potrebbe svelare ulteriori connessioni tra il mondo del calcio e la camorra. Il processo sarà decisivo per stabilire le responsabilità degli imputati e verificare la reale portata del fenomeno.

Il caso ha acceso nuovamente i riflettori sulle dinamiche che regolano il calcio dilettantistico e semi-professionistico, un settore dove spesso la mancanza di risorse e la necessità di finanziamenti esterni possono aprire la porta a interferenze criminali. Il verdetto della magistratura potrebbe rappresentare un ulteriore passo avanti nella lotta alle infiltrazioni mafiose nello sport, un tema che rimane di grande attualità e che continua a preoccupare le autorità.

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