“Il futuro è un tempo tutto da costruire, dove ogni vita è sempre più connessa con le altre a livello globale”. Così Papa Francesco, che ha lasciato questo mondo terreno nel giorno del Lunedì dell’Angelo per tornare alla Casa del Padre, sottolineava, in occasione della duplice ricorrenza dei settanta anni della televisione e dei cento anni della radio festeggiata nel 2024, l’importanza della sfida che i media e coloro che operano nel mondo della comunicazione e del servizio pubblico radiotelevisivo hanno davanti.
L’argentino di origini italiane Jorge Mario Bergoglio, acclamato dalla stampa mondiale, è stato il primo pontefice non europeo da mille e duecento anni, il primo Papa gesuita, il primo a chiamarsi Francesco come il Santo di Assisi e il primo Papa ad aver convissuto con il suo predecessore in Vaticano.
Ma è stato anche colui che ha rivoluzionato il linguaggio della Chiesa per accogliere tutti, anche i più lontani, dal Brasile all’Iraq, dalla Terra Santa al Sud Sudan, conquistando con la sua semplicità e il suo approccio colloquiale e familiare soprattutto gli umili, i deboli, i perseguitati, gli uomini, le donne e i bambini che non godono della protezione di nessuno, e tutti coloro che vivono ai margini della Chiesa e si sono allontanati dalla fede.
Da quel “Fratelli e sorelle, buonasera” pronunciato dalla loggia della Basilica di San Pietro il 13 marzo 2013, giorno della sua elezione a pontefice, fino ai recenti, accorati appelli alla pace e al dialogo come unico strumento per fermare le guerre, Papa Francesco non ha mai smesso di far sentire la sua voce e il peso delle sue parole.
Nel parlare dei media e del loro ruolo di testimoni dei processi di cambiamento della società, che li ha visti, in parte, fautori e protagonisti di quel cambiamento, Papa Bergoglio ha detto che “i media influiscono sulle nostre identità, nel bene e nel male. E qui è il senso di chi fa servizio pubblico, due parole che descrivono molto bene il fondamento della comunicazione come dono alla comunità”, e non come attività fine a sé stessa.
Il pensiero espresso da Francesco è quello di chi è sempre stato convinto che il contributo alla verità e al bene comune debba essere mosso dall’esigenza di dare risposte alle persone, nel rispetto e nella promozione della dignità di ognuno. E “servire” facendo informazione significa “cercare e promuovere la verità, che è una, armonica, e non si può dividere con gli interessi personali. Significa il diritto dei cittadini a una corretta informazione, trasmessa senza pregiudizi, non traendo conclusioni affrettate ma prendendo il tempo necessario per capire e per riflettere, e combattendo l’inquinamento cognitivo”.
Nel solco di quanto affermava San Giovanni Paolo II ‒ “la verità è proposta, mai imposta. Il rispetto della coscienza altrui consente solo di proporre la verità all’altro, al quale spetta poi di responsabilmente accoglierla” ‒ Bergoglio ha sempre esortato a coltivare il dialogo, che implica la capacità di saper ascoltare. Senza perdere di vista i linguaggi della comunicazione, “nella nostra epoca ricca di tecnica ma a volte povera di umanità”.
Dialogo, ascolto, linguaggi e nuove tecnologie devono essere “strumenti di crescita nella conoscenza, promuovere la ricerca della bellezza, aprire nuovi sguardi sulla realtà e non alimentare bolle di indifferenza autosufficiente, educare i giovani a sognare in grande, con la mente e gli occhi aperti”. Perché non bisogna “perdere mai la capacità di sognare, ma sognare alla grande!”.
Una voce di speranza che mancherà, quella di Papa Francesco, in un mondo grigio e dominato dall’incertezza.
Viviana Rossi